La nobiltà del cuore
"Porta Conte D'apice", a Vibo Valentia, è una delle tracce di una storia plurisecolare: risale al 1289, anno nel quale il governatore Ermingano di Sabrano, appunto il "Conte d'Apice", su mandato di Carlo II d'Angiò, allora regnante, impose la fortificazione dell'antica "Monteleone" con la costruzione di quattro porte difese da torri. Tra queste s'è conservata la "Porta Piazza", detta anche "Porta Lamia" o "Arco di Marzano". Ma la più suggestiva rimasta fino ai nostri giorni è appunto la "Porta Conte D'Apice". Qui, come un segno del tempo, s'è consumata la vita di Raffaela Lo Bianco, vedova Barba, nata nel lontano 1921 e spentasi i primi del 2023, ultracentenaria. Nei suoi occhi sono trascorse le generazioni della città che hanno calcato il '900 e questo primo ventennio del XXI secolo.
Una storia lunga e preziosa nelle sue percezioni, nel modo di vedere i cambiamenti d'epoca, i costumi, le tradizioni che nascevano e si spegnevano, così come quelle rimaste vive nella devozione popolare e tra le mani sapienti di una donna che ha dato alla luce ben dieci figli, con Orazio, il più giovane, oggi cinquantaseienne.
Lei, ultracentenaria, vitale e attiva fino all'ultimo - le esequie sono state curate dall'impresa Onoranze Funebri "Filippo Polistena" - ha visto da quel luogo, da quella parte della città così carica di storia, tutti gli avvenimenti: nata lì e sempre vissuta a "Porta Conte D'Apice", ne è stata come la custode silenziosa di un'identità che spesso la Vibo di oggi sembra trascurare se non dimenticare.
In quelle vestigia non c'è solo la storia della città medievale, quella che scendendo dalla cima del castello s'è arroccata come in una grande scalinata al di sotto delle mura, ma c'è anche l'esempio, il riferimento della trasformazione della città, del suo estendersi altrove, della sua espansione fino alla città novecentesca che Raffaela Lo Bianco ha cominciato a vedere e a conoscere fin da bambina, intuendo l'antico narrare e pensare la città.
La famiglia come riferimento, sempre.
Così come il Conte D'Apice, Ermingano di Sabrano, meglio conosciuto nella sua genealogia originaria con il nome di Ermengardo de Sabran, conte di Apice e Ariano, figlio di Luigi de Sabran, Conte di Apice e Ariano e Giovannella di Gianvilla, marito di Andriella Carafa a sua volta figlia di Pietro Carafa, signore di Fossacieca e di Maria Carafa nonchè sorella di Veritella Carafa e Pietro Carafa, signore di Fossacieca, Depressa e Rodi.
Ecco, la nobile genealogia che distingueva colui che fortificò la Monteleone medievale.
Poichè nobile è la volontà di difesa della città, il sentimento di appartenenza, la conservazione dell'identità.
E nobile è il cuore di chi viveva tra le fortificazioni, sentendo di essere parte di una comunità.
Non a caso, è di quei secoli la svolta lirica introdotta dal "Dolce stil novo" che ebbe in Guido Guinizelli il suo iniziatore e interprete autentico.
Il suo sonetto, rimasto immortale, “Al cor gentile rempaira sempre amore”, altro non è che l'affermazione della vera nobiltà, la nobiltà che possiede la sua dimora nel cuore e non nella ricchezza materiale.
Versi che si possono così parafrasare:
«...e l'amore prende posto nella nobiltà d'animocon la naturalezza con cui il calore sta nella luce del fuoco...
[...] l'uomo altero dice:- Sono nobile per nascita -;
io lo paragono al fango, la nobiltà al sole:
ché non si deve credere
che la nobiltà stia al di fuori del cuore
nella dignità ereditaria
se il cuore nobile non è incline alla virtù,
come l'acqua che si fa attraversare dal sole
mentre il cielo contiene le stelle e la loro luce.»
Il figlio di Raffaela Lo Bianco, Orazio Barba, ha paragonato la bontà d'animo di sua madre, donna mite e grande lavoratrice, bravissima in cucina con i suoi piatti tipici (tra i quali i "fileja", la "fagiola" cotta nella pignatta al camino) a una forma di nobiltà: lui intende proprio la nobiltà del cuore che la distingueva pur avendo vissuto umilmente, provenendo da altrettanto umile famiglia.
Nella foto in bianco e nero, molto datata, la si vede all'età di sei anni - quindi nel 1927 - seduta a destra all'angolo della chiesetta.Umile famiglia ma di gran cuore anch'essa: il padre, Alfredo Antonio Lo Bianco, che fu combattente nella "Grande Guerra", venne insignito della medaglia d'oro.
Nonostante le difficoltà materiali, in lei, nella sua dignità di donna e di madre, mai un lamento, mai un cenno di lagnanza.
Invece, sempre attenta, vigile, custode del cuore prezioso della tradizione.
Come la chiesetta della Madonna dei Poveri: piccola, dimessa.
Eppure, tanto ricca di sentimento e di afflato religioso autentico.
La città cambiava, laggiù, nella parte bassa.
Ma Raffaela Lo Bianco ha sempre tenuto i suoi valori al riparo, fortificati anch'essi, anch'essi protetti, difesi, tutelati e tramandati.
Ai dieci figli.
Alla Vibo Valentia di oggi nella quale è stata silenziosa testimone di tanti avvenimenti lungo un secolo di vita.
Soprattutto, a quella che ormai si può giustamente definire la "sua" Porta Conte D'Apice: se Ermingano di Sabrano potesse farsi vedere, le farebbe omaggio di un saluto, chinandosi e levandosi il cappello di fronte a questa donna che tanto ha vissuto e tanto ha lasciato nel cuore di chi l'ha conosciuta e la ricorda con immensa tenerezza.
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