La Belle Époque di Vibo Valentia

Con la recente scomparsa di Domenico "Mimmo" Russo, s'acuisce la nostalgia per la Vibo Valentia di un tempo ormai lontano, nella quale i sentimenti vibranti e i fermenti vitali della città correvano all'unisono. Erano gli anni che seguivano la fine del Secondo conflitto mondiale e la ricostruzione, morale e materiale, politica e sociale durante la quale una storia del tutto nuova veniva fondata senza dimenticare antichi e radicati valori. Il lavoro, la competenza, i ruoli, la tradizione e la cura. Un ordine che ha fatto la differenza regalando una qualità di vita impensabile nella città dei nostri giorni. Un tempo, quello della giovinezza di Mimmo Russo, che potrebbe essere definito la "Belle Époque" dell'antica Monteleone.

Le due metà di quel secolo controverso, grandioso e terribile che è stato il Novecento, Vibo Valentia le ha vissute sotto l'egida della crescente espansione della piccola borghesia produttiva che ha fatto da contraltare all'affermarsi del ceto aristocratico e poi alto-borghese di fine '800.
La città ha goduto degli effetti segnati dalla mano pubblica nel ventennio pre-bellico sotto il patronato di Luigi Razza.
 

Poi, nel dopoguerra, in un'Italia che approdava al modello repubblicano e democratico di piena partecipazione, quei ceti legati al piccolo commercio e alle funzioni impiegatizie si ritrovarono nella proposta interclassista, moderata e confessionale della Democrazia Cristiana che aveva a Vibo Valentia in Antonino Murmura la figura più eminente: sindaco due volte - nel '52 e nel '64 - ma anche consigliere e assessore provinciale tra i due mandati, prima di approdare al Senato nel 1968 fino al 1994.


Meridionalista acuto e giurista insigne, se ne fece interprete lungo il corso di una carriera costellata da incarichi prestigiosi e di alta responsabilità parlamentare e governativa - tra l'altro fu due volte sottosegretario - rimanendo per quasi un cinquantennio l'ineludibile punto di riferimento per la comunità vibonese, assieme alla moglie, Maria Folino, catanzarese di illustri natali, tutt'ora autorevole testimone di un'epoca e delle vicende della città rievocate in quest'intervista rilasciata a Pietro Comito per la LaC News


Un brano da un articolo di Pino Nano, giornalista e biografo di Murmura - da Primo Piano News del 15 dicembre 2019 - mette in evidenza il ruolo significativo e la caratura di Maria Folino Murmura nel suo rapporto con Vibo Valentia: 


Dunque, la ricostruzione, gli effetti degli interventi della Cassa per il Mezzogiorno, la transizione dal modello economico rurale a quello industriale e dei servizi, l'espansione e trasformazione della città, gli anni del "boom" e l'affermarsi di un'identità vissuta anche attraverso cospicui eventi collettivi e culturali che resero Vibo Valentia protagonista di una lunga stagione di complessiva e diffusa crescita, la collocano in una sorta di "periodo sorridente" che culmina, sul finire del secolo, con la costituzione della provincia di cui Tony Murmura è stato certamente il padre storico ed Enzo Romeo il primo entusiasta e fattivo presidente.


Ecco, intorno alla figura di Antonino Murmura e della sua famiglia, s'articola un pezzo dell'esistenza di Mimmo Russo, come la stessa Maria Folino Murmura rammenta in questa nota di cordoglio per la sua recente scomparsa:


Un'esistenza che s'è nutrita, quella di Mimmo Russo, delle immagini della città che cambiava mentre le tracce del passato rimanevano custodite nel vestito scintillante dei due Corsi, Corso Vittorio Emanuele III che guarda il Castello carico di secoli e Corso Umberto I che racchiude nelle vestigia delle dimore signorili l'exemplum dei racconti stratificati di un'intensa storia urbana.



Scrive magistralmente l'architetto Luigi Tommaso Achille nel suo recente "Per adulti con riserva" raccontando quella città che Mimmo Russo visse da giovane negli anni '50 e '60:
[...] Altre due vie avevano un ruolo preponderante nella vita della città: il Corso Umberto I e il Corso Vittorio Emanuele III. Il primo era il luogo dove avveniva il passeggio, il posto dello struscio, il salotto buono della città che, con gli edifici pubblici, privati, religiosi, che su di essa affacciavano, era la strada che meglio raffigurava la città di Vibo, la sua bellezza, l'importante ruolo che aveva avuto, e che continuava ad avere in Calabria. I bei palazzi nobiliari, come quelli delle famiglie Gagliardi, De Riso, Stagno D'Alcontres, gli imponenti uffici pubblici del Tribunale, della Guardia di Finanza, del Convitto Nazionale e, anche se in disuso, il teatro comunale che non era ancora stato abbattuto. Su Corso Umberto si affacciavano inoltre le chiese di Santa Maria La Nova e di Santa Maria degli Angeli, all'interno della quale è custodito un pregevole e suggestivo Crocifisso settecentesco, circondato da un gruppo di altre statue, da sempre oggetto della devozione popolare, in particolare nei venerdì di marzo. Di fronte a questa chiesa, il cui accesso avviene, caso unico per Vibo Valentia, tramite una scalinata, non era stato ancora costruito l'alto e moderno palazzo che attualmente troviamo, al posto del quale esisteva invece un'elegante, piccola costruzione, il bar Minerva che, avendo solo il piano terra, non ostruiva la vista della città che dietro essa appariva degradante a chi usciva dalla chiesa discendendo, appunto, dalla scalinata. Da quest'ultima si accede anche al complesso che ospita il Convitto Filangeri, all'epoca frequentato da giovani provenienti da tutta la Calabria.



E ancora dallo stesso dovizioso testo dell'architetto Achille:
[...] Ma il Corso Umberto non era solo la via del passeggio e degli uffici, ma anche un vivo riferimento pper l'attività commerciale e ricreativa. Lungo essa si affacciavano esercizi di vario tipo, quasi tutti piuttosto eleganti e molto frequentati: quattro bar con tavolini all'interno e all'esterno del locale, qualche negozio piuttosto esclusivo prevalentemente d'abbigliamento, ma anche due tabacchini dei quali uno anche con accluso un ricco emporio, due profumerie, una farmacia, un negozio di dischi, una bottega di generi alimentari, oltre a due barbieri, la sede dell'Ente per il Turismo ed i locali di due noti circoli ricreativi, con qualche sedia messa anche fuori sul marciapiedi. Uno di questi era detto il "circolo dei nobili", una dicitura tipica che si ritrovava per analoghi circoli anche in altre cittadine del meridione; insomma una via viva, frequentatissima, luogo, come detto, del passeggio cittadino, che avveniva in prevalenza lungo il tratto della parte alberata, allora non pavimentato e denominato viale Regina Margherita. 




Lungo queste due arterie principali e nella magia della città che si distende tra le ripide vie fino a Vibo Marina, fino al mare, fino al porto, fino all'affacciata dalle terrazze vagamente Liberty, fino all'odore di salsedine e al tamtam dimesso e cadenzato dei pescherecci all'alba e la tramonto, scorreva la vita del giovane Mimmo, classe 1931, tra il profumo dei fiori di campo che, da ragazzo, raccoglieva e trasportava, caricando oltre l'inverosimile la bicicletta fino a romperne i pedali, per portarli nel negozio di famiglia - che chiuse nel 1985 - là, sotto la scalinata accanto alla chiesa di Santa Maria degli Angeli, dove adesso resiste una delle ultime edicole della città.



Sempre serio e ponderato, Mimmo Russo incarnava nella dedizione al lavoro quella ineludibile qualità che fa l'integrità di un uomo e lo rende un cittadino consapevole e fiero di esserlo.
E nella fede cristiana, alimentata da un intimo e mai spento dialogo con il sacro, egli ha trovato il sicuro ancoraggio ai valori morali ed etici dai quali non ha mai declinato: la famiglia, l'onestà, l'impegno e il senso del dovere civile, il rispetto per le tradizioni religiose che segnano lo scorrere del tempo.


Si tratta di qualcosa che s'è radicato così profondamente in lui che, negli ultimi anni, nonostante la mente fosse svanita per l'incedere dell'età, nonostante la memoria delle persone e delle cose si fosse irrimediabilmente eclissata in lui, ebbene Mimmo Russo ha continuato fino all'ultimo giorno a congiungere le mani e a pregare, compiendo questi gesti che non potevano essere solo rituali ma il segno di una presenza profonda, di qualcosa che resiste in un abisso della memoria che nulla può intaccare.


Si tratta di un esempio che fa segno a una celebre teoria "linguistica", quella elaborata dal filosofo e linguista Noam Chomsky negli anni '50 e che ha rivoluzionato gli studi sulla materia: l'innatismo come conoscenza innata degli universali linguistici che permettono ai bambini d'imparare a parlare e quindi di sviluppare la loro competenza linguistica. 
Una struttura profonda che spiega la capacità dell'uomo non di possedere un linguaggio ma di essere abitato da un linguaggio che ci precede: anche il filosofo Martin Heidegger aveva intuito e sviluppato a suo modo questo concetto.


Ecco, nella sua semplicità di persona devota, Mimmo Russo forse racchiudeva il segreto di un'ancestrale facoltà umana, la traccia di qualcosa che unisce le scienze neurologiche, la linguistica e la forza della fede, un sentimento che in tutta evidenza l'ha accompagnato durante l'arco della vita.
Come ha ricordato nella sua lettera di cordoglio Maria Folino Murmura, Mimmo lavorava anche nei celebri giardini di Palazzo Murmura fino ai primi anni '70 quando fu assunto alla Scuola Alberghiera.
Come le sue piante, accudite con competenza artigianale antica appresa nella scia del padre Rosario, Domenico "Mimmo" Russo aveva solide radici nella storia e nella tradizione della sua città.







Una Vibo oggi irriconoscibile. 
Forse perchè cittadini come lui è stato, non sono più tanti.
E quel senso di appartenenza, conquistato e difeso con impegno quotidiano, nel solco delle buone regole sociali, s'è inaridito per crescente disattenzione.
Per lui e quelli come lui, per quelle generazioni che fecero la Vibo Valentia degli "anni belli", non era così: la tradizione, le consuetudini, le usanze, per essere rinnovate e trasmesse richiedono cura, un rito ripetuto infinite volte per il valore che racchiude.
Come una preghiera.
Ricordo una frase del premio Nobel Thomas Stearns Eliot
«La tradizione non si può ereditare, e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica»
Per Mimmo Russo è sempre stato così.

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