La crioconservazione tra scetticismo e speranza


James Bedford, ritratto in questa rarissima immagine, è stato il primo, nel 1967, a scegliere la crioconservazione. Il suo corpo è ancora conservato con questo metodo. Tuttavia, la curiosità che circonda questa materia è sospesa tra scetticismo e possibilità: la crioconservazione appare tecnicamente possibile ma rimane una scommessa a lungo temine. Se si ammette che il processo di congelamento "protetto" mediante l'uso di crioprotettori possa rappresentare un'alternativa all'irreversibilità della morte, è altrettanto vero che il futuro delle scoperte scientifiche non offra alcuna certezza. Di qui la scelta: conservare il corpo e coltivare una speranza o accettare il destino del perire come legge naturale inviolabile? 

L'impresa onoranze funebri Filippo Polistena è l'unica in Italia e tra le poche nel mondo a praticare la crioconservazione: una tecnica che appare avvolta in un'aura di fantascienza ma che in sostanza agisce entro conoscenze tecniche diventate di uso comune nel caso di trapianto d'organi: conservare una parte del corpo da "trapiantare" in un altro corpo, per alcune ore, evitando il deperimento cellulare.


Ovviamente, per la conservazione di un corpo a lungo termine la tecnica attuale incontra alcune obiezioni come quella sulla tossicità nell'uso dei crioprotettori e sull'inevitabilità, nel processo di morte, dell'ischemia cerebrale. Insomma, l'ibernazione deve avvenire in tempi molto brevi e cosa sarà in futuro del corpo di un defunto conservato a temperature glaciali è ancora difficile da affermare con qualche certezza.
Certo, gli studi procedono.
La letteratura scientifica è già molto ampia per la crioconservazione del liquido seminale e degli ovociti.
Imprese dedicate alla crioconservazione dei defunti sono presenti negli Stati Uniti, in Germania e anche in Russia.


James Bedford, docente di psicologia alla University of California, deceduto nel 1967 a causa di un tumore, è stato il primo a decidere che dopo la morte, ormai certa, il suo corpo venisse "crioconservato". È ancora ibernato a -106°C. e si trova da oltre cinquant'anni in questo stato di preservazione, in una criocapsula, a Scottsdale, in Arizona, dove ha sede la Alcor Life Extension Foundation.


La "Polistena human cryopreservation di Filippo Polistena" è l'unica azienda italiana a fornire questo servizio.
Ha iniziato con l'impresa russa KrioRus e Kriorus Animals, per il momento non praticabili per via del conflitto in Ucraina.
Ma subito dopo, Filippo Polistena ha iniziato a lavorare con le aziende statunitensiCryonics Institute e Alcor. 
Mentre è recentissima l'intensa e proficua collaborazione con la Tomorrow Biostasis GmbH, startup berlinese che ha sede pure in Svizzera, a Rafz, vicino a Zurigo.








In particolare, con quest'azienda tedesca, l'impresa di onoranze funebri Filippo Polistena ha intrapreso un rapporto ancora più intenso anche sotto l'aspetto formativo, assieme ad altri imprenditori europei del settore, partecipando a un'esclusivo corso sul metodo della "perfusione" per la preparazione delle salme (umane ma anche animali) che poi verranno trasportate nel centro allestito in Svizzera
Naturalmente, la crioconservazione viene praticata non solo su esseri umani ma anche sugli animali domestici: l'affetto verso questi "amici" che da tempo immemore accompagnano e allietano di sentimenti autentici la vita di tantissime generazioni, ha indotto moltissimi proprietari a realizzare, per i loro cani e gatti, questo metodo alternativo alla sepoltura o alla cremazione.   
Dopo la morte è possibile la vita?
Filippo Polistena ci crede.


Ma non è un ingenuo che coltivi speranze da visionario.
Al contrario, crede in una possibilità, in una speranza che ha per contropartita l'accettare la morte come necessità, come atto irreversibile, come destino.
In fondo, la questione è tutta qui. 


Non è distante dalla celebre scommessa di Blaise Pascal sull'esistenza di Dio o dalle riflessioni stoiche di Marco Aurelio oppure, ancora più indietro nel tempo, con la tragedia greca di Euripide.
Vale la pena ricordare Pascal con un cenno al discorso contenuto, sull'argomento, nel suo "Pensieri" che risale alla pubblicazione postuma avvenuta nel 1670: 
«Esaminiamo allora questo punto, e diciamo: “Dio esiste o no?” Ma da qual parte inclineremo? La ragione qui non può determinare nulla: c'è di mezzo un caos infinito. All'estremità di quella distanza infinita si gioca un giuoco in cui uscirà testa o croce. Su quale delle due punterete? Secondo ragione, non potete puntare né sull'una né sull'altra; e nemmeno escludere nessuna delle due. Non accusate, dunque, di errore chi abbia scelto, perché non ne sapete un bel nulla.

“No, ma io li biasimo non già di aver compiuto quella scelta, ma di avere scelto; perché, sebbene chi sceglie croce e chi sceglie testa incorrano nello stesso errore, sono tutte e due in errore: l'unico partito giusto è di non scommettere punto”.

Sí, ma scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal vostro volere, ci siete impegnato. Che cosa sceglierete, dunque? Poiché scegliere bisogna, esaminiamo quel che v'interessa meno. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare nel giuoco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l'errore e l'infelicità. La vostra ragione non patisce maggior offesa da una scelta piuttosto che dall'altra, dacché bisogna necessariamente scegliere. Ecco un punto liquidato. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita, nel caso che scommettiate in favore dell'esistenza di Dio. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste.

“Ammirevole! Sí, bisogna scommettere, ma forse rischio troppo”.

Vediamo. Siccome c'è eguale probabilità di vincita e di perdita, se aveste da guadagnare solamente due vite contro una, vi converrebbe già scommettere. Ma, se ce ne fossero da guadagnare tre, dovreste giocare (poiché vi trovate nella necessità di farlo); e, dacché siete obbligato a giocare, sareste imprudente a non rischiare la vostra vita per guadagnarne tre in un giuoco nel quale c'è eguale probabilità di vincere e di perdere. Ma qui c'è un'eternità di vita e di beatitudine. Stando cosí le cose, quand'anche ci fosse un'infinità di casi, di cui uno solo in vostro favore, avreste pure sempre ragione di scommettere uno per avere due; e agireste senza criterio, se, essendo obbligato a giocare, rifiutaste di arrischiare una vita contro tre in un giuoco in cui, su un'infinità di probabilità, ce ne fosse per voi una sola, quando ci fosse da guadagnare un'infinità di vita infinitamente beata. Ma qui c'è effettivamente un'infinità di vita infinitamente beata da guadagnare, una probabilità di vincita contro un numero finito di probabilità di perdita, e quel che rischiate è qualcosa di finito. Questo tronca ogni incertezza: dovunque ci sia l'infinito, e non ci sia un'infinità di probabilità di perdere contro quella di vincere, non c'è da esitare: bisogna dar tutto. E cosí, quando si è obbligati a giocare, bisogna rinunziare alla ragione per salvare la propria vita piuttosto che rischiarla per il guadagno infinito, che è altrettanto pronto a venire quanto la perdita del nulla.»
Come nel caso della fede, una scommessa dunque impone di "credere" .
In caso contrario, decidere di non cimentarsi significa che la partita sia persa in partenza.
D'altra parte, la scienza e la tecnica hanno compiuto, negli ultimi settant'anni, dalla fine del secondo conflitto mondiale, passi inimmaginabili.
Scongelare un corpo rimasto ben conservato e restituirgli funzioni vitali non ha nulla di folle.
Indimostrabile al momento?
Già, oggi non è dimostrabile.
Ma l'azzardo ha una posta molta alta in palio: da un parte la certezza della morte e dall'altra l'incertezza della vita, l'incertezza di essere rianimati.
In fondo, "esperienze di morte" sono vissute dai corpi sottoposti ad anestesia: con la differenza che in quel caso le funzioni vitali sono preservate e dunque il paragone è veramente forzato.
Tuttavia, vale il principio.


Il romanzo ottocentesco di Mary Shelley, "Frankenstein o il moderno Prometeo", che tanta fortuna ha avuto divenendo uno dei miti della modernità, non è forse una delle espressioni letterarie di una pulsione all'immortalità che è nelle viscere dell'essere umano?
Non è incagliata nel superamento della morte ogni tensione religiosa e ogni rito sul trapasso?
E l'aspettativa così alta di vita che coincide con quest'epoca, non è forse una delle tante relazioni con questo tema e con l'indefinita possibilità di protrarre l'esistenza attraverso la conoscenza scientifica e la tecnica che la rende prospettabile?
Dopotutto, c'è poco altro da affermare sull'argomento: alla certezza della morte può essere opposta l'incertezza del futuro.


Valgono le parole antiche, quelle del già citato Marco Aurelio, imperatore romano e filosofo "stoico" che scrisse nelle sue "Meditazioni"
«[V,37,1] Un tempo io fui, ovunque mi ritrovassi, un uomo baciato dalla buona sorte. Ma ha buona sorte chi assegna a se stesso una sorte buona; e una sorte buona sono buoni rivolgimenti dell’animo, buoni impulsi, buone azioni.»
Una sorta di "proairesi" - dal greco προαίρεσις (prohaíresis) - aristotelica: una scelta meditata, un desiderio deliberato.
Dunque, per il futuribile forse conviene affidarsi, ancora una volta, all'antico, alla sapienza che fu, riflettendo ancora su una frase di Marco Aurelio: 
«L’universo è mutamento: la nostra vita è come la creano i nostri pensieri.»

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