Donne e madri nel nostro tempo
Capita sempre più spesso di ascoltare uno stereotipo, quello che vede nella figura contemporanea della "donna" e della "madre" una cesura con il passato, la traccia nuova che dovrebbe caratterizzare anche il modello del nucleo familiare disgregato, in perpetuo confronto e dissidio con un esasperato individualismo e con una visione della socialità profondamente differente dal quella di una volta. Eppure, questa narrazione sembra dimenticare i tanti vissuti di quelle madri che per scelta dedicano alla famiglia, ai figli, al consorte, il massimo della loro attenzione, del loro impegno quotidiano, della loro prospettiva ideale. In questo solco, un esempio commovente possedeva il volto di Isabella Lo Riggio, scomparsa prematuramente poco più di un anno fa.
Capita di vedere delle madri in lotta perenne con i ritmi parossistici della vita quotidiana, impegnate a gestire mille urgenze, incombenze, necessità, in un meccanismo pubblico che non le aiuta pur dichiarando per esse, in ogni discorso e con retorica ormai insopportabile, l'indispensabile centralità.
Non le aiuta nella conciliazione con il lavoro; non le aiuta nel prevedere una scuola organizzata intorno alle esigenze delle famiglie e dunque proprio delle madri; non le aiuta nel considerare l'importanza e il peso del lavoro domestico e delle relative e necessarie tutele; non le aiuta nel favorire efficienti servizi di mobilità; non le aiuta nell'ambito dell'assistenza sanitaria ingolfata da una burocrazia insensibile quanto ottusa.
E chissà in quanto ancora s'annidino colpevoli lacune, a voler scavare fino in fondo.
Nonostante gli ostacoli, le madri sanno sempre come cavarsela, trovano di volta in volta soluzioni, governano con piglio sicuro le loro famiglie, svelano doti inconsuete nell'educazione e nell'istruzione dei figli e affrontano piccoli e grandi drammi con un approccio pragmatico, solidale, rassicurante.
Così era Isabella Lo Riggio in Vitrò, classe 1965, figura non comune proprio per la scelta di rivolgere le proprie energie e il proprio tempo alla famiglia, a suo marito e al loro unico figlio.
Già, una scelta evidentemente ponderata e soprattutto concepita sul crinale tra la visione razionale e l'esigenza di non lasciare indietro i sentimenti.
La differenza la fa proprio il senso del sacrificio: lasciare indietro qualcosa di sé per un valore ritenuto più alto e sostanziale e più profondo, fino a fare emergere la coincidenza tra quel sé, solo in apparenza rimasto nell'ombra, e un modo d'essere moglie e madre che diviene invece massima realizzazione personale.
Questo modello culturale ritenuto inadatto ai valori emergenti nel contemporaneo, si esprimeva invece benissimo in Isabella, vibonese d'origine e di tradizioni - anche quelle gastronomiche nelle quali eccelleva - dotata di una mente creativa (non a caso diplomata alla scuola d'arte), laboriosa, affidabile sul lavoro: per anni è stata assistente nello studio dentistico di Enzo Romeo - il quale ne ricorda la serietà e affidabilità, il metodo di lavoro efficiente e la limpidezza di carattere - prima di decidere per il massimo slancio verso la famiglia.
Una famiglia molto unita, resa solida dai valori forti che Isabella ha sempre incarnato e che si ritrova nello stile di certe sue tele: i dipinti che ha lasciato raccolgono, in pennellate vibranti di luce, la chiarezza del suo stare al mondo, il coraggio di saperne cogliere l'elemento dinamico fatto di strade che s'inerpicano e di torrenti che si perdono nel loro corso, preservando tuttavia l'afflato con la natura che semina bellezza in un fiore rigoglioso o nello svettare di un albero in fiammate di foglie colorate.
Essere consapevoli della varietà dell'esistenza nel suo ininterrotto fluire era forse il tratto caratteristico di Isabella Lo Riggio: il moto peregrino e imperscrutabile delle cose che i suoi quadri rivelano non era motivo di apprensione ma sfida perenne alle cose stesse, sfida nelle piccole come nelle grandi questioni.
Sfida da affrontare con metodo, come accade in un atto creativo che non è mai solo estro ma riflessione attenta e funzionale su un tema di stile.
Basta osservare le figure che Isabella, appassionata di moda, riusciva a descrivere con disegni caratterizzati da una decisa eleganza.
Lo sguardo era dunque quello di una donna che sapeva interpretare la vita nel verso positivo del costruire, del fare e del pensare in termini d'interpretazione della realtà, dell'esserci per essere sempre attivi, propositivi, talvolta incalzanti.
La limpidezza ricordata da Enzo Romeo a proposito di Isabella altro non è che autenticità.
Sovviene una frase di Heidegger, tratta da "Essere e tempo":
«L'essere-autentico non è una realizzazione isolata e solitaria, ma una coesistenza solidale e responsabile con gli altri esserci»
Ma non solo. Sempre a proposito dell'autenticità, ecco cosa scriveva il celebre filosofo tedesco del Novecento nel suo "Che cos'è la metafisica?":
«L'essere-autentico non è una fuga dal mondo, ma una comprensione più profonda e più originaria del senso dell'essere e degli enti»
Infine, un'altra frase, ancora di Heidegger, da "Lettera sull'Umanesimo":
«L'essere-autentico non è una conquista definitiva e stabile, ma una continua trasformazione e un continuo superamento di sé»
Tre espressioni che colgono l'essenza di Isabella Lo Riggio, il suo aver afferrato la vita con la vita stessa, senza ripensamenti, senza alcun dubbio se non quello di chiedersi cosa l'esistenza le avrebbe riservato al fondo di quelle strade impervie e irregolari che lei dipingeva pensandole come una metafora.
Non avrebbe mai immaginato di dover subire, come contraltare del suo coraggio, la malattia e le sue drammatiche ed esiziali conseguenze.
E lei lì, ancora a lottare e a lungo, consapevole anche del valore di quel confronto durissimo: un esempio di dignità e di forza da lasciare a chi rimane.
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