Una frase, tratta dal “Libro della sapienza”, ripresa in un fregio del Museo Casa Giorgione a Castelfranco Veneto recita: “Umbrae transitus est tempus nostrum”, “Il passaggio di un’ombra è il tempo che ci è concesso in questa vita”.
Esistono tradizioni rituali che affondano le radici in un passato antichissimo e che rivestono un significato molto profondo.
Tra questi "U Cunsulu" - talvolta detto anche "Ricunsulu o Riculsolo", si spiega con la necessità di preparare i pasti quotidiani per i familiari del defunto poichè questi, colpiti dal lutto, tralasciano le naturali incombenze a causa dell'evento irripetibile della dipartita.
Una tradizione nella quale si colgono segni ancestrali che sono stati tralasciati, abbandonati, dimenticati nell'età contemporanea, caratterizzata da una diffusa indifferenza per il tema della morte.
Quali sono questi segni così importanti?
La solidarietà e l'effettiva partecipazione in un momento di dolore: non ci limitava alla presenza ma a un sostegno tangibile, a un impegno affettuoso capace di rammentare, nello stesso tempo, il momento tragico che interrompe l'imponderabile segreto dell'esserci e la necessità, altrettanto sentita, di richiamare la continuità dell'esistenza e la volontà di riprendere i percorsi di vita conservando il valore incessante del ri-cordo: in senso etimologico, il "riportare al cuore" la figura del defunto.
Ma è non solo questo il segno di potente e veridica dimensione antropologica nel rapporto con la morte.
Scrisse il filosofo Giorgio Agamben: «I temi della vita tornano ed hanno sempre un alone di incompiutezza, come se sempre debbano ritornare per essere ripresi e continuati. L’incalzante sensazione di caducità fissa cose e persone in una sua propria dimensione in cui sembra di non poterle vedere e guardare compiutamente, come quando al crepuscolo finisce ineluttabilmente la luce.»
In queste parole si coglie l'esperienza della narrazione e il suo costituirsi intorno all'evento con il carattere della convivialità, della tavola che assume l'atto preminente della parola, della memoria, del ricordo, del racconto aneddotico.
È questo il modo con il quale si attraversa il "sacro" - inteso come ciò che è "separato, distante, incolmabile" - e ci si raccoglie per un nuovo inizio: il suggello di una mancanza ineluttabile che accompagna i familiari e gli amici del defunto ad accettare l'evento, fermando il tempo e ripercorrendolo nelle voci, per prendere forza e riannodare il filo con la vita.
Sorge, ad avvalorare questa tesi, una frase di Luigi Lombardi Satriani, l'illustre antropologo calabrese, tratta da un articolo da lui scritto per il quotidiano "Avvenire" nel 2011: «La comunità dei sopravvissuti può ricostituirsi, proprio attraverso l’azione del mangiare assieme, come "comunità del noi", contrastando così il pericolo della disgregazione costituito dalla morte del familiare.»
Allo stesso modo, in un significativo e toccante articolo - Morte, lutto, paese. L’antica pietas in un mondo che viaggia senza direzione - per la testata il "Vizzarro.it", il celebre docente di Antropologia Culturale, Vito Teti, mette in racconto i suoi ricordi personali, richiamando questo rito antico: «Qualcuno portava caffè e biscotti e latte. Era quello che gli studiosi ed io avremmo studiato come il cunsulo o ricunsulo: l’usanza di portare bevande e cibo ai familiari del defunto che dovevano interrompere l’ordine di sempre, non potevano accendere il fuoco e cucinare, dovevano portare il lutto. Per molti poveri, quelle offerte erano anche un modo di spezzare la fame e comunque rivelavano forme di solidarietà e vicinanza, che rendevano le famiglie meno sole. La morte era un fatto comunitario e non a caso, per evitare contagio, al passaggio del defunto bisognava chiudere porte e finestre, evitare rumori o schiamazzi.»
Ecco l'importanza di recuperare la tradizione rituale de "U Cunsulu".
In quest'ottica, l'impresa onoranze funebri "Filippo Polistena" ha avviato un nuovo servizio per consentire a parenti e amici di allestire, a casa dei familiari, un banchetto funebre, ciascuno facendo recapitare o preparare - attraverso un "catering" - alimenti e piatti di vario genere (per la prima colazione, il pranzo o la cena) restituendo così ai rapporti sociali quei valori di affetto e di com-passione che caratterizzano la vita di una reale comunità.
Per ogni necessità è sufficiente rivolgersi o contattare il titolare dell'impresa, Filippo Polistena, ai seguenti recapiti:
In Calabria, a Vibo Valentia, in Via Matteotti (vicino Ospedale Iazzolino) mail: filippopolistena45@gmail.com Telefono 370.3210052
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