La passione per la delicatezza
Filippo Polistena non è un impresario come altri: in ogni frase che pronuncia traspare una sorprendente limpidezza d'animo, la passione per un mestiere che pratica con la sensibilità e il metodo di un artigiano. Così, è nata un'originale collaborazione tra il discendente di un'impresa d'antica tradizione che risale fino al trisavolo di cui porta il nome - Filippo Polistena vissuto intorno alla metà del XIX secolo - e un critico d'arte e copywriter sui generis. Da una conversazione estemporanea è scaturita questa singolare intervista. E infine, questo blog.
Sempre in viaggio.
Sempre al lavoro.
Eppure, mai sopra le righe, misurato, sorridente, un aplomb impeccabile.
Le imprese di lunga tradizione mi hanno sempre interessato: sono convinto che esista qualcosa nel dna di un antenato in grado di transitare in quello dei discendenti diretti: del suo trisavolo di metà '800 porta il nome, Filippo.
Secondo me, significa qualcosa.
Ed è qualcosa che solo lui possiede.
Forse il tratto gentile che immediatamente me lo ha fatto apprezzare.
Ma anche la carica vitale, l'appassionato racconto del suo mestiere e l'accuratezza del gesto.
Allora Filippo, in genere un impresario di onoranze funebri non ha la tua verve e nemmeno questa dedizione per un'attività che potrei definire "di confine"...
Mah, lascia che ti dica una cosa: la passione per il mio mestiere - voglio proprio definirlo così - mi è stata trasmessa dai miei genitori. Vivendo fin da piccolo in mezzo ai fiori, nel negozio dei miei, è stato quasi naturale che proseguissi su quella strada. Per le creazioni floreali, poi, ho sviluppato una particolare attenzione, tanto da impegnarmi in una formazione specifica su questo settore, in Italia e all'estero. La relazione con quest'attività non è diversa da quella di un medico o di un infermiere che, spesso, sono a contatto con la morte. Anzi, per loro può essere molto peggio perchè assistono alla sofferenza di cui la morte è solo l'atto meno gravoso.
Mi hai fatto pensare a Epicuro e a una delle sue massime filosofiche più citate, quella contenuta nella "Lettera sulla felicità":
E da Omero in avanti, per millenni il tema dell'uomo che perde il bene della vita in imprese eroiche o in terribili conflitti e tradimenti, ha dilagato in ogni forma d'espressione: dal teatro greco alla scultura, dalle pitture vascolari fino alle pitture parietali delle tombe.
«Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi.»
Ah sì, questa è una splendida riflessione, talvolta l'ho sentita anch'io ma per te che hai una cultura così vasta è pane quotidiano, forse l'arte e la filosofia, la letteratura e la poesia non sono sempre in relazione con la morte?
Non posso darti torto: l'Iliade è un poema epico che gronda racconti di morte senza soluzione di continuità.
E da Omero in avanti, per millenni il tema dell'uomo che perde il bene della vita in imprese eroiche o in terribili conflitti e tradimenti, ha dilagato in ogni forma d'espressione: dal teatro greco alla scultura, dalle pitture vascolari fino alle pitture parietali delle tombe.
E poi le maschere romane, così impressionanti, fino alla storia dell'Europa cristiana, negli affreschi, nella ripresa della tradizione scultorea a tutto tondo, del basso e dell'alto rilievo.
Insomma, non farmi andare avanti in un elenco che potrebbe eguagliare quelli interminabili dei romanzi di Victor Hugo, come avrebbe detto il nostro Umberto Eco...
Invece ti farei andare avanti eccome: vedi, sai bene anche tu che la morte si accompagna alla vita...
Già, un patto indissolubile.
D'altra parte, per Emanuele Severino la nascita della filosofia è espressione diretta del mistero che circonda la morte, il timore ancestrale per il "nulla".
Ma voglio trovare una citazione dal suo "Che significa morire?", un testo del 1983... Abbi pazienza ancora per un momento... Oh, eccola:
«Ma non siamo forse tutti convinti, anche senza fare appello alle varie forme della cultura e basandoci semplicemente sulla nostra esperienza, che l’annientarsi delle cose è quanto di piú visibile esiste tra i visibili? e che l’angoscia e il dramma della vita hanno proprio qui la loro radice, nel constatare ogni giorno e ogni momento che noi e tutto ciò che appartiene al nostro mondo ce ne andiamo nel niente?»
Allora, cosa ne pensi?
Ma dai, è difficile da comprendere... Però ho colto il senso di qualcosa di favorevole, una sorta di soluzione al mistero della morte che va oltre la sua domanda...
Bravo, è così, ma sarebbe troppo lungo e complesso sviscerare l'argomento.
Emanuele Severino, che è scomparso nel 2020, è stato uno dei massimi filosofi del secondo novecento, la sua è una riflessione di straordinaria intensità ma ancora largamente incompresa, eppure rigorosissima nella costruzione concettuale. Vabbè, una digressione che mi ha concesso la tua pazienza infinita.
No, è un piacere ascoltarti. E poi, mi dai ragione: a questo punto non deve sembrarti così strana la passione che metto nel mio mestiere: il momento del trapasso è un evento unico, ci riguarda tutti e deve essere considerato e trattato con la massima attenzione, il massimo rispetto, con misura e delicatezza.
Hai ragione. Però lasciami fare una critica per il modo in cui alcuni tuoi colleghi affrontano la professione: come se dovessero sbrigare una comune "pratica commerciale".
Non sono solo io a dirlo: in tante persone ho riscontrato quest'amara sensazione, nella quale alla tristezza del momento si aggiunge la tristezza di un evidente, freddo, distaccato e indisponente "burocratismo". Per non parlare di una scomposta approssimazione che sconfina nell'incompetenza.
Hai toccato un tasto davvero dolente, specie per uno come me che discende, in linea diretta, da chi faceva questo mestiere quasi due secoli fa. Ti confesso che io non riesco a trattare un evento funebre con indifferenza e mi fa orrore quella che tu chiami "scomposta approssimazione": questo è un mestiere che nasce con la civiltà, del resto me lo insegni tu quello che significa il culto dei defunti e quanta importanza rivesta, da sempre, nelle società umane. Dunque, debbo darti ragione. Il mio modo di vedere e di fare il mestiere, insomma, d'interpretarlo, mi tiene lontano, anzi lontanissimo, dal quel modo di praticarlo che giustamente critichi.
Certo, so bene con quanta cura affronti la tua professione, pardon: il tuo mestiere.
Sai Filippo, mentre ti ascolto mi vengono alla mente molti racconti.
Ce n'è uno, piuttosto toccante, che è stato narrato, inaspettatamente, da Massimo Recalcati, famoso psicoanalista e apprezzato scrittore del nostro tempo.
In una conferenza di qualche anno fa, fece cenno a un ricordo della sua fanciullezza che vorrei recuperare alla nostra conversazione, ovviamente per parafrasi.
Te lo racconto.
Figlio di un fiorista, una sera, molto tardi, svegliandosi si accorse della luce che proveniva dal laboratorio del padre. Una volta, l'attività di un artigiano e la casa erano tutt'uno. Avvicinandosi alla porta, riuscì a scorgerne la figura paterna ripiegata sul nastro di una corona in preparazione, un nastro blu sopra il quale, con un pennello d'osso sottile intinto in una pittura colore oro, scriveva le ultime parole che i parenti del defunto avevano affidato alle sue mani. Mani grosse, tozze, annerite dal loro continuo restare a contatto con la terra. Eppure, quelle mani mostravano una sorprendente delicatezza nella scrittura fatta di lettere eleganti finemente dipinte. Una forma d'arte, per quanto modesta, che mostra tuttavia la sua capacità d'avvicinarsi, con cura e rispetto, al confine con il mistero della morte.
Anche lui, come te, figlio di un fiorista.
Non saprei, forse si tratta di una visione forzata ma non posso fare a meno di notare una relazione con le tue vicende familiari e con il tuo modo d'intendere il culto dei morti.
Ascoltandoti mi sono commosso ricordando la mia di fanciullezza.
Soprattutto, però, è stato questo richiamo alla delicatezza che diventa una scoperta sorprendente: è proprio quello che penso, direi da sempre, sul mio mestiere e ancora prima quando era invece mio padre e prima ancora mio nonno Filippo a occuparsene.
In quell'attenzione, posso dirti, puoi trovare spiegazione nel sentimento che mi anima.
In fondo, a fare una sintesi, si tratta di "passione per la delicatezza".
Esattamente, non avresti potuto dire meglio.
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